La danza dei lupi mannari, quando il branco è di scena
Un momento di “Wolf” (Tutte le foto dello spettacolo sono di Viola Berlanda)
Lupi, cioè animali selvaggi, perché no, anche ballerini. I danzatori si trasformano in belve aggressive che si muovono in branco, si sparpagliano in gruppi, escono dal buio, attaccano e si ritraggono. La trasformazione ha per demiurgo Hofesh Shechter il coreografo di origine israeliana, in prima linea della danza inglese, che per Aterballetto ha confezionato “Wolf” cioè lupo. È il brano che insieme a “Non sapevano dove lasciarmi” firmato da Cristiana Morganti, ha debuttato in anteprima alle Fonderie Limone di Moncalieri per Torinodanza e domani sera sarà in prima assoluta a Gorizia al Teatro Giuseppe Verdi, ospite d’onore della Nid, la piattaforma della danza italiana.
Qualche cosa di animalesco e potente è presente da sempre nel linguaggio di Shechter. Qui lo afferma esplicitamente nel titolo e lo ribadisce in un brano che ricuce tasselli diversi creati nello stesso periodo di “Uprising” suo capolavoro, che sarà il primo dicembre al Teatro Regio per Torinodanza con la Gauthier Dance Company, e che lo rivelò a livello internazionale. I danzatori sono attraversati da scosse telluriche, lanciano al cielo le braccia, sembrano voler far vibrare con piedi e gambe la terra, come a ribadire la loro presenza, attraversano la scena camminando a quattro zampe. Gli unisoni si disgregano per ricompattarsi rapidamente, gli interpreti si muovono al ritmo di percussioni martellanti composte da Shechter stesso che firma anche luci e costumi.
La capacità di creare spettacolo senza allentare per un attimo la tensione, di giocare con i contrasti forti di luci, di organizzare architetture mobili in palcoscenico fanno di Shechter un talento unico. E i sedici danzatori di Aterballetto, uno dei tre Centri di Produzione italiani, qualcosa di simile a un Teatro Nazionale, ora diretto da Gigi Cristoforetti, sono prodigiosi nell’assecondare la fisicità dello stile.
Così come diventano introspettivi e si interrogano, si confessano sul proprio lavoro di ballerini in “Non sapevano dove lasciarmi” di Cristiana Morganti. La frase del titolo la pronuncia uno dei danzatori che a turno, spesso tutti insieme, parlano degli inizi, della scuola di danza, inanellano con autoironia luoghi comuni. Ma non c’è solo la parola, al contrario lunghe sequenze di danza dove Morganti mescola diversi linguaggi contemporanei in cui inserisce, con effetto comico, citazioni di danza accademica e fa indossare il tutù a due ragazzi.
Anche qui gli insiemi lasciano spesso spazio ad assoli e a piccoli gruppi dove i nove danzatori danno prova di versatilità. C’è lo zampino di Pina Bausch? Morganti arriva di lì, ma quei modi di coreografare e confezionare spettacolo sono entrati ormai a fare parte dei linguaggi comuni a tutti. E poi se Shechter è un navigato mago della scena, Morganti e i suoi protagonisti sono un mirabile esempio di sincerità e capacità di mettersi a nudo.
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