Nelle carte “segrete” il rischio boomerang

Ecco gli atti che saranno consegnati al Parlamento: gli allarmi lanciati ma anche le falle della Vigilanza
ANSA

Palazzo Koch, sede della Banca d’Italia a Roma


Pubblicato il 20/10/2017
Ultima modifica il 20/10/2017 alle ore 07:10

L’elenco definitivo dei documenti di Bankitalia arriverà solo lunedì. Poi passerà ancora qualche giorno prima che i tutti i documenti arrivino a palazzo San Macuto, sede della commissione d’inchiesta sul sistema bancario. Giorni necessari per catalogare, in via Nazionale la grande mole di documenti - oltre 4200 fascicoli, una mole sterminata di pagine - che saranno messi a disposizione dei parlamentari. I documenti, si spiega, saranno classificati secondo tre categorie: consultabili, riservati (protetti dal segreto bancario) e secretati (perché riguardanti indagini in corso e dunque coperti da segreto istruttorio). Questi ultimi saranno consultabili dai componenti della commissione secondo una procedura di sicurezza e alla presenza degli uomini della Guardia di finanza. Solo una volta terminata la consultazione dei documenti ci sarà l’audizione del governatore, Ignazio Visco. 

 

I ritardi di Arezzo  

I fascicoli conterranno tutta la corrispondenza intrattenuta con le sette banche oggetto dell’esame della commissione, le segnalazioni alle procure competenti, la corrispondenza con Bce e la Consob. Una mole sterminata, che dovrebbe dimostrare come Banca d’Italia ha fatto sempre il proprio dovere, mentre le eventuali mancanze sono avvenute da altre parti. Ci saranno ad esempio le 370 pagine su Banca Etruria che la Vigilanza invia alla procura di Arezzo il 21 aprile del 2015, al termine dell’ispezione e dopo il commissariamento dell’istituto. Il 18 febbraio, una settimana dopo l’arrivo dei commissari, Bankitalia aveva già inviato la «relazione interlocutoria», con l’elenco dei fatti che avevano portato alla decisione di commissariare la banca. Ma il fascicolo relativo - risulta dagli atti del procedimento - è stato aperto solo un anno dopo, il 23 febbraio del 2016. Sempre su Banca Etruria, ci sarà la lettera che Visco invia al presidente di Etruria, Giuseppe Fornasari, il 24 luglio del 2012. Lettera che già contiene tutti gli elementi di debolezza dell’istituto sulla crescita dei crediti deteriorati e sulla scarsa capacità manageriale dei vertici dell’istituto. E ancora, la lettera dello stesso Visco del 3 dicembre del 2013 nella quale il governatore impone a Etruria un forte ricambio del cda e una aggregazione con una banca «di primario standing» da realizzarsi nel tempo più breve possibile. O la corrispondenza su Etruria con la Consob, nella speranza di chiarire una volta per tutte cosa è stato consegnato alla Commissione e quando, dato che su questo punto si è consumato uno scontro neppure troppo sottotraccia tra le due istituzioni. Con la Consob che ha dichiarato per mesi di aver avuto contezza della situazione solo nel 2016 - dopo la risoluzione e lo scoppio del caso -. Salvo poi fare marcia indietro due mesi fa riconoscendo che in effetti aveva ricevuto la relazione che metteva un ultimatum a Etruria imponendo una fusione già nel dicembre del 2013. 

 

I controlli su Vicenza  

Ma con il clima attuale,con le critiche nei confronti dell’operato di via Nazionale che arrivano praticamente dall’intero arco costituzionale, non è escluso che qualcosa possa ritorcersi contro la stessa Bankitalia. Ad esempio, le comunicazioni con la Popolare di Vicenza della primavera del 2013, relative all’operazione di aumento di capitale da oltre 500 milioni di euro che l’istituto guidato da Gianni Zonin si apprestava a lanciare. Bankitalia approva l’operazione, in parte destinata dichiaratamente ad «ampliare la base sociale» anche finanziando i promessi soci con soldi della banca. Via Nazionale ricorda però che le azioni comprate con i soldi della banca vanno scomputate dal patrimonio. Esattamente quello che Vicenza non farà, che non aveva fatto per anni e che è alla base del disastro dell’istituto. Controllerà Bankitalia che a Vicenza abbiano seguito le sue indicazioni? Sì certo. Due anni dopo, quando il cappello del controllare passa alla Bce ed esplode il bubbone. Solo che ormai è troppo tardi. Sempre nel 2013, Bankitalia segnala a Vicenza come il fondo per l’acquisto di azioni proprie fosse troppo «pieno», malgrado le regole imponessero l’autorizzazione di via Nazionale per superare il 5% del capitale e questo limite fosse superato. Cosa succede poi non si sa. Si sa solo che il fondo azioni proprie veniva riempito con gli acquisti dai soci che chiedevano sempre più numerosi di uscire e svuotato per comunicare i dati a Bankitalia. Una pratica talmente consolidata da avere anche un nome commerciale nelle mail interne dei manager: «Campagna svuotafondo». Ma anche questo si saprà solo due anni dopo quella lettera di Bankitalia. 

 

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