Catalogna, articolo 155: più dubbi che certezze sulle “misure necessarie”
Una manifestazione dei sostenitori dell’unità nazionale a Barcellona
A Madrid in queste ore ci si interroga senza sosta: come applicare la sospensione dell’autonomia catalana? Alla vigilia del Consiglio dei ministri che dovrà varare il famoso articolo 155 della Costituzione, c’è grande incertezza tra gli stessi membri del governo. È quindi utile leggere cosa dice esattamente il testo dell’articolo, mai utilizzato finora: «Qualora una Comunità autonoma (le regioni spagnole ndr.) non rispetti la Costituzione o le altre leggi, o si comporti in maniera da ledere gravemente l’interesse generale della Spagna, il governo [...] potrà adottare le misure necessarie per obbligare il rispetto forzato degli obblighi o per tutelare l’interesse generale». Il principio è chiaro: lo Stato assume parte delle competenze per rientrare nella legalità. Ma i concetti di «interesse generale» e «misure necessarie», lasciano aperto il campo a interpretazioni e trattative politiche.
LA SICUREZZA
Una delle chiavi del successo del referendum del primo ottobre sono stati i Mossos. La polizia locale non ha chiuso tutti i seggi, come era stato ordinato dai giudici. I magistrati non si fidano più e lo stesso Trapero è in libertà vigilata. Quindi il 155 dovrà far sì che lo Stato spagnolo prenda il comando della polizia. Non sarà semplice, molti dei 17 mila agenti sono legati a Trapero (alcuni lo considerano un eroe), così il governo sta pensando di mettere a capo del corpo un suo predecessore, come Josep Milàn che conosce l’ambiente, ma «non è un commissario politico», spiegano a Madrid e può rompere il legame con la Generalitat. Basterà per recuperare il rapporto con la polizia? In pochi ci credono.
L’ECONOMIA
È un altro ambito dove sicuramente si applicherà il 155. Un intervento spagnolo nella gestione della cassa catalana è già cominciato prima del referendum. L’ipotesi che si stessero utilizzando soldi pubblici per l’organizzazione di una votazione illegale ha fatto sì che il ministero di Madrid prendesse alcune competenze regionali, fra le quali quelle di pagare lo stipendio dei funzionari. Proprio per l’esperienza maturata nell’ultimo mese, questo è l’ambito che preoccupa meno il governo spagnolo. Alla Catalogna spetta un trasferimento mensile di 1,4 miliardi di euro e per erogarlo verrà creata un conto specifico nella Banca di Spagna. L’obiettivo: niente soldi per attività legate all’indipendenza (eventi, mostre e soprattutto finanziamento ad associazioni secessioniste). In caso di nuove elezioni il ministero di Madrid si farà carico delle spese. Conseguenza probabile: il sollevamento del responsabile economico della Catalogna, Oriol Junqueras, che è anche vicepresidente del governo.
ISTITUZIONI
Un punto fondamentale è: si può rimuovere Puigdemont, chiudere il Parlamento catalano e indire nuove elezioni? A Madrid in molti credono di sì e la vedono come una soluzione alla crisi. Ma secondo Francesc De Carreras, uno dei massimi costituzionalisti spagnoli, non si può fare: «Il presidente della Generalitat non sta violando la legge nel momento in cui non convoca le elezioni anticipate. Lo si può colpire penalmente, ma non rimuovere in nome del 155».
LA SCUOLA
Nell’organizzazione del referendum è stato decisivo il ruolo dei vertici della pubblica istruzione catalana, che hanno consentito (con ingegnosi sotterfugi) di tenere aperti gli istituti e ospitare i seggi. Le scene di presidi e funzionari nel Palau della Generalitat insieme a Puigdemont non vengono dimenticate a Madrid. Alcune cariche potranno cambiare. Impossibile però un intervento sui programmi scolastici, da anni al centro di polemiche del centrodestra, il dettato costituzionale sembra impedirlo.
I MEDIA
Molto complesso anche un intervento sui mezzi di comunicazione pubblici della Catalogna, soprattutto Tv3, un canale considerato schiacciato sulla linea della Generalitat. Uno dei grimaldelli potrebbe essere la messa in onda degli spot per il referendum, espressamente proibiti dalla magistratura e trasmessi dai due canali pubblici (più quello radiofonico). Ma anche in questo caso la via penale sembra, ai giuristi, più adeguata di quella costituzionale.