Corea del Nord, l'arcivescovo Kim: c'è chi alimenta la tensione per fare affari

In un’intervista a “La Civiltà Cattolica”, il presidente dei vescovi esprime uno sguardo realista e avveduto sui contrasti internazionali intorno al regime nord-coreano. E auspica «un invito al Papa per dialogare con i leader cinesi sulla pace nel mondo»

Parata militare a Pyongyang


Pubblicato il 20/10/2017
Ultima modifica il 20/10/2017 alle ore 13:00
roma

La Corea del Nord del presidente Kim Jong-un - quello che Trump sbertuccia chiamandolo “Rocket Man, l'uomo-razzo” - lo scorso giugno aveva convocato a Pyongyang i leader delle sette maggiori religioni presenti nella Penisola coreana. Ma l’appuntamento è saltato dopo la decisione dell’Onu di inasprire le sanzioni contro il regime nord-coreano, e l’invito ai capi religiosi è stato rinviato. Lo riferisce Hyginus Kim Hee-Joong, arcivescovo cattolico di Gwangju e presidente della Conferenza episcopale coreana, nell'intervista pubblicata sull'ultimo numero de La Civiltà Cattolica. 

 

Quella sul mancato “summit religioso” di Pyongyang non è l'unica notizia disseminata nella corposa intervista raccolta da padre Antonio Spadaro, direttore della rivista dei gesuiti italiani: l'arcivescovo conferma anche di essere stato inviato in Vaticano a maggio dal nuovo presidente della Repubblica coreana, Moon Jae-in, subito dopo la sua elezione, con l'incarico di consegnare al Pontefice una lettera personale: «In quel momento - riferisce l'arcivescovo Hyginus, svelando le ragioni di quella sua “missione speciale” - c’era la minaccia di guerra nella Penisola coreana a causa del conflitto tra gli Stati Uniti e la Corea del Nord. Il nuovo presidente della Corea del Sud voleva spiegare la sua posizione per la pace della Penisola coreana e chiedere la preghiera e l’aiuto di Papa Francesco, prima che egli desse udienza al presidente Trump (udienza concessa il 24 maggio, ndr). Penso che la mia missione sia stata positiva, grazie anche all’aiuto del Segretario di Stato, cardinale Pietro Parolin. Il nuovo presidente, Moon Jae-in, il cui nome di battesimo è “Timoteo” - aggiunge l’arcivescovo coreano in merito a quell’episodio - ha ringraziato il Pontefice e tutti coloro che ci hanno aiutato».  

 

Nell’intervista a Civiltà Cattolica, l’arcivescovo di Gwangju esprime uno sguardo realista e avveduto sulle tensioni internazionali sviluppate intorno ai lanci missilistici del regime nord coreano. I giudizi di Hiyginus Kim non appaiono per nulla allineati ai commenti stereotipati sulla “follia” di Kim Jong-un che dilagano nel media-system globale. «Alcuni», nota l’arcivescovo sudcoreano, «interpretano quelle azioni della Corea del Nord come una via di sopravvivenza contro le superpotenze, altri invece ritengono quel gesto un’inaccettabile minaccia di guerra. Io – aggiunge Hyginus - penso che i lanci dimostrativi di missili costituiscono un messaggio forte, quello di essere disposti a dialogare con gli Stati Uniti, ma solo su un piano di parità». A giudizio dell’arcivescovo, chi vuole imporre alla Corea del Nord la rinuncia agli esperimenti nucleari come condizione per iniziare il dialogo esprime una «logica sbagliata» visto che tale rinuncia «costituisce esattamente lo scopo del dialogo stesso». 

 

Molti coreani, aggiunge, «pensano che tutte le superpotenze coinvolte stiano usando questa tensione con la Corea del Nord per i loro interessi nazionali. Si dice che alcuni Paesi stiano ottenendo grossi guadagni, proprio strumentalizzando e prolungando questa tensione nella penisola coreana». Mentre l’unica strada per provare davvero a disinnescare i conflitti e avviare una reale riconciliazione sarebbe quella di «favorire il dialogo diretto tra Corea del Sud e Corea del Nord, senza l’intervento di nessun altro Paese estero». 

 

A più di settant’anni dalla divisione, la Chiesa cattolica ha preso in mano la bandiera della possibile ricongiunzione del popolo coreano, confortata anche dalla parole sulla necessaria riconciliazione tra i fratelli pronunciate da Papa Francesco durante la visita apostolica da lui svolta in Corea del Sud nell'agosto 2014. Nei primi giorni del dicembre 2015, una delegazione della Chiesa cattolica della Corea del sud, guidata proprio da Hyginus Kim, ha compiuto a Pyongyang e nei territori nordcoreani una visita ufficiale carica di implicazioni, non solo ecclesiali. «Il governo nordcoreano - spiega l’arcivescovo di Gwangju - ha fiducia nella collaborazione con la Caritas Internazionalis, collegata con la Conferenza episcopale coreana. Spero che presto diventi possibile inviare alcuni sacerdoti per celebrare la messa nelle grandi feste a Pyongyang, secondo l’accordo raggiunto nel 2015». 

  

Uno sguardo da fratelli (e non da giudici) verso i cattolici cinesi 

 

L’approccio di molti cattolici coreani alle travagliate vicende dei loro fratelli nella fede cinesi non si mostra condizionato dagli stereotipi fuorvianti impostisi per via mediatica in Occidente. L’intervista dell’arcivescovo Hyginus a Civiltà Cattolica accenna anche alle reti discrete e “operative” di comunione che già uniscono da tempo la Chiesa cattolica coreana con le comunità cattoliche cinesi, sia quelle “ufficiali” – riconosciute dagli apparati politici – sia quelle clandestine, che cercano di sottrarsi agli input della politica religiosa governativa. Le comunità cattoliche “ufficiali”, racconta il presidente della Conferenza episcopale di Corea, chiedono spesso aiuto alle diocesi coreane per l’insegnamento nei Seminari o nelle case religiose femminili, o per essere accompagnate nei ritiri e negli Esercizi spirituali.  

 

L’arcivescovo Hyginus non sa rispondere alla domanda «se la ragione di queste richieste sia veramente la formazione stessa o sia solo per propaganda». Ma riferisce che ogni anno i leader delle comunità religiose presenti in Cina e in Corea si incontrano per «collaborare reciprocamente per la pace tra i due Paesi, ed anche per la pace del mondo». E visto che «i cinesi considerano la fiducia un elemento fondamentale in qualsiasi relazione, sia umana sia commerciale e diplomatica», indica nella fiducia reciproca anche la chiave per far maturare relazioni buone e fruttuose tra la Cina popolare e la Santa Sede. Consigliando di chiedere magari aiuto «ad altri Paesi che hanno una buona relazione diplomatica con la Cina». E indicando come sommamente auspicabile «anche un invito al Papa per dialogare con i leader cinesi sulla pace nel mondo». 

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